GLI UOMINI DELLA RSI: SPINELLI
SPINELLI, L'OPERAIO CREMONESE
DIVENTATO MINISTRO DEL LAVORO
Bruno De Padova
E’in uso ribadire – da sessant’anni ad oggi – che
la genesi e lo sviluppo della Repubblica Sociale Italiana si perfezionano
quale rivolta spontanea d’una élite di combattenti e di cittadini
agli avvenimenti politico-militari che nell’estate 1943 travolsero la nostra
Nazione e, sui quali, Benito Mussolini attestò con il documento
"Storia di un anno" (edito l’anno successivo da Mondatori
e diffuso dal "Corriere della Sera") l’esemplificazione
del "tempo del bastone e della carota" in cui il malcostume
dell’inganno e del tradimento assursero a foggia d’utile compromesso, ma
in realtà la RSI fu molto di più, specie nell’ambito d’innovazioni
nella civiltà del lavoro, tant’è vero che il 14 ottobre 1944
– in una dichiarazione ai volontari della Brigata Nera "Aldo Resega"
di Milano – confermò che l’intera Legislazione sulla socializzazione
dell’economia produttiva "altro non è, se non la realizzazione
italiana, romana, nostra effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto
fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge la livellazione
di tutto e di tutti; livellazioni inesistenti nella natura e impossibili
nella storia".
A tali innovazioni legislative aveva dato il proprio
contributo l’intero governo della RSI e, con maggiore incisività,
il ministero dell’Economia Corporativa che ebbe in Angelo Tarchi e in Manlio
Sargenti i cesellatori delle premesse fondamentali nella creazione della
nuova struttura per l’economia italiana, esattamente il DL del 12.2.1944
n. 375 sulla socializzazione delle imprese (quelle di proprietà
privata con un milione di capitale e con almeno cento lavoratori, nonché
delle altre appartenenti allo Stato, alle Provincie, ai Comuni e ogni altra
azienda a carattere pubblico) e quello successivo n. 382 del 24 giugno,
indispensabile per la sua realizzazione, ma i metodi d’applicazione (aggiornamento
degli statuti delle aziende, la loro revisione, la seguente approvazione
ecc.) si manifestarono alquanto lenti, dimodoché l’attuazione complessiva
della riforma richiese un’accelerazione che Mussolini, Pavolini e gli altri
esponenti del Partito Fascista Repubblicano impresso con il DL del 19 gennaio
1945 n. 15 che istituì il Ministero del Lavoro, mentre quello dell’Economia
Corporativa divenne il dicastero della Produzione Industriale.
Alla conduzione del gabinetto del Lavoro venne incaricato
l’operaio cremonese Giuseppe Spinelli, già linotipysta d’una
azienda tipografica e che nell’autunno 1943 aveva assunto la segreteria
provinciale del Sindacato lavoratori dell’industria meneghina e
del suo "hinterland", poi il 17.09.1944 – per le sue capacità
di risolutore delle esigenze emergenti in ogni settore – il capo della
RSI lo designò all’improbo compito di podestà di Milano,
di quella metropoli lombarda che nella Repubblica Sociale svolse un ruolo
di primordine nell’azione politica del PFR e nelle iniziative della cultura
e nel perfezionamento delle attività produttive.
In riflesso del nuovo incarico, G. Spinelli insediò
il proprio dicastero in un antico palazzo milanese di Corso Venezia e constatò
come, sino a quel momento, in ogni azienda in cui venne intrapresa l’applicazione
della socializzazione erano stati approntati decreti ministeriali ognuno
diverso dall’altro, come avvenne – per esempio – per l’impresa edilizia
Cesare Margini, in quella Graniti d’Italia s.p.a., nelle industrie Grafiche
Italiane Stucchi, nelle officine meccaniche Enrico Battagion, nelle S.A.
Off. Mecc. Della Stanga, nella FIAT torinese, nella Soc. Anonima Editrice
Milanese, nell’Alfa Romeo, alla Soc. in accomandita Turati Lombardi &
C., nelle Industrie Grafiche Nicola Moneta ed altre, con nuovi statuti
(quelli richiesti dal DL del 12.2.1944 n.375) che dovevano essere pubblicati
– dopo l’approvazione da parte delle maestranze – sulla "Gazzetta
Ufficiale d’Italia", sostitutiva nella RSI della precedente G.U.
del Regno.
Altresì, furono socializzate anche le imprese
editrici e giornalistiche Mondatori, Hoepli, Rizzoli, Garzanti, Vallardi,
Bompiani, Meschina, Signorelli, Ricordi, Carroccio, Corriere della Sera,
La Stampa, Il Lavoro, Cremona Nova e l’EIAR (Ente delle Audizioni Radiofoniche).
In totale, in base al consuntivo del gennaio 1945,
erano state socializzate settantasei imprese con centoventinovemila dipendenti
e per l’importo di 4.119.000.000 lire di capitale, una cifra davvero enorme
in quel tempo, essendo stato difeso con energia vittoriosa da Domenico
Pellegrini Giampietro (ministro delle Finanze, Scambi e Valute nel governo
della RSI) il valore della moneta italiana.
Su ciò fornisce un’ampia documentazione il
dott. Sergio Pisciotta nell’opera "La rivoluzione nella rivoluzione"
(ediz. Settimo Sigillo, 1997), lo studioso che nel 1996 ha conseguito il
"premio di laurea" bandito dall’Istituto Storico della RSI e
che, nella cronistoria della dottrina sociale del Fascismo e sul nuovo
ordinamento produttivo da noi illustrato, evidenzia la missione compiuta
con decisione e con tenacia da Giuseppe Spinelli nel suo compito di ministro
del Lavoro e quando sulla Repubblica Sociale incombeva la catastrofe del
25 aprile e si poteva prefiggere la tragica conclusione del 2° conflitto
mondiale in Europa, nella valle padana e in tutto il suo territorio.
Infatti, Spinelli si rese conto che la socializzazione
delle imprese doveva realizzarsi mediante un solo decreto legislativo e
valido per un intero settore produttivo, anziché per ogni singola
azienda, e iniziò a farlo nell’ambito industriale dove i capitalisti
(come denunciò Ugo Manunta nel volume "La caduta degli dei,
storia intima della RSI", pubblicato nel 1947 dall’Azien, Edit.
Italiana, Roma) tentarono la fuga dei loro beni finanziari, temendo di
rimanere penalizzati nella remunerazione degli investimenti effettuati
in precedenza.
Però, avendo predisposto il governo della
RSI la socializzazione dell’intero sistema economico nazionale (e in
primis – come specifica Pisciotta – il credito che regolava il flusso
dei capitali) nessuna assemblea aziendale composta in parti uguali da azionisti
(i vecchi proprietari) e dai produttori (i lavoratori) avrebbe
riconosciuto ai finanziatori la facoltà di trasferire a capitale
le ingenti riserve palesi e occulte accumulate in base ai dividendi contenuti
dalle leggi fasciste al più basso livello possibile e, tantomeno,
la differenza intercorrente tra il patrimonio azionario e il valore reale
degli impianti esistenti. In ciò, e lo si rileva nel testo "I
seicento giorni di Mussolini" (ediz. Faro, 1948), vengono specificate
da Ermanno Amicucci e le "mine sociali" della RSI che
tutte le categorie produttrici avrebbero dovuto strenuamente difendere
quale diritto acquisito dopo la conclusione del conflitto militare
e l’invasione d’Italia da parte del nemico allora bloccato sulla "linea
Gotica", norme legittime che – invece – dopo il 25 aprile vennero
abrogate dalle oligarchie finanziarie e dai marxisti (soprattutto per imposizione
violenta dei comunisti) e che, assurdamente, in proposito, ottennero l’approvazione
dei principali danneggiati (gli stessi lavoratori) che acclamarono quest’annullamento
come una conquista della "liberazione".
Non si deve altresì dimenticare che, per potenziare
lo sviluppo della socializzazione, con il DL del 12.2.1944 n. 269 la RSI
creò l’Istituto di Gestione e Finanziamento – curato dall’IRI e
finanziato dall’IMI – il quale disciplinò la sponsorizzazione delle
imprese e il controllo sui rappresentanti dei consigli d’amministrazione
sia pubblici che privati, provvedimento che G. Spinelli ed i suoi collaboratori
considerarono nel potenziamento dell’ordinamento di tutela dei produttori
mediante la strutturazione di un sindacato operante come se l’economia
fosse già totalmente socializzata. Quindi, scomparve la figura del
capitalista e subentrò quella del capo dell’impresa, cioè
l’animatore o il tecnico dell’azienda, lavoratore anche lui e pertanto
socio del nuovo sindacato destinato a diventare il pilastro dello Stato
del Lavoro, mentre l’organizzazione sindacale è costituita dalla
Confederazione Unica, non burocratizzabile, bensì epicentro d’incontro
per tutti i produttori, fulcro d’elevazione professionale, culturale e
materiale. Tale nuova realizzazione programmò anche la costruzione
delle case d’abitazione per i lavoratori quale loro proprietà (Roberto
Bonini, "La socializzazione delle imprese nella RSI",
Ediz. Giappichelli, 1993 – pag. 240) e l’istituzione d’un comitato permanente
in merito.
Quest’evoluzione straordinaria dell’ordinamento che
la RSI e il suo ministero del Lavoro intensificarono con G. Spinelli quale
"rivoluzione nella rivoluzione" (cosi bene sintetizzata da Sergio
Pisciotta) provocarono notevoli preoccupazioni al RUK (il ministero tedesco
della produzione bellica) rappresentato in Italia dal gen. Hans Leyers,
ma non scompose l’operaio-ministro nello svolgimento della sua missione
e che affrontò con fermezza l’ovattata opposizione degli industriali
e di quanti intrallazzavano con la Wehrmacht, con l’organizzazione Todt
e nei salotti della borghesia imboscata in attesa della conclusione del
conflitto e dove anche i benpensanti del CLN Alta Italia (finanziati
da G. Falck, dai fratelli Crespi, da Alberto e Piero Pirelli, da R. Lepetit,
P. Ferrario ecc.) elaboravano i compromessi politici inerenti la
"guerra civile" che costarono tante sofferenze tra i cittadini,
vittime di questa diplomazia.
D’altronde, la reazione dei grandi capitalisti alla
realizzazione innovatrice della socializzazione nelle fabbriche e nelle
imprese non distaccò Spinelli e tutti i suoi collaboratori da tale
evoluzione civile che – tra l’altro – venne esaltata anche da Paul Gentizon
nella sua prefazione in lingua francese dell’Histoire d’une année
(op. cit.) indicandola quale via maestra del progresso – la via Appia della
storia – dal Mediterraneo verso un futuro costruttivo e positivo per il
mondo intero.
Accentuò la resistenza dei capitalisti,
a quanto andava concretizzando la RSI nei settori produttivi, il programma
di socializzazione totale intrapreso da G. Spinelli agli inizi del 1945,
quindi ancor prima degli esiti definitivi della guerra in corso e – come
segnala S. Pisciotta nell’opera citata, pag. 62 – quando i "grossi
calibri" della finanza adoperano qualsiasi mezzo affinché
si fermasse l’ingranaggio socializzatore e si desse all’ortica la riforma,
mentre in Corso Venezia a Milano si vedevano salire e scendere dal Ministero
del Lavoro sciami di insigni rappresentanti dell’industria nazionale, come
se fosse una stazione di locomotive.
In riferimento a tali fatti e al sabotaggio orchestrato
dall’alta finanza e dal partito comunista negli stabilimenti industriali
dell’intera valle padana, per impedire l’adesione delle varie categorie
produttrici al piano d’applicazione dell’ordinamento socializzatore delle
imprese, è doveroso rammentare che fu il Capo della RSI ("Testamento
politico di Mussolini, 22 aprile 1945", ediz. Tosi – 1948 – pag.
32) a precisare: "Il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuti
che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutti, si schierassero anima
e corpo dalla parte dei plutocratici, degli affamatori, del grande capitalismo".
In precedenza, il 3 aprile 1945, si svolse anche l’ultimo direttorio
del PFR e, ad esso, G. Spinelli partecipò precisando che lo sviluppo
del sistema rivoluzionario della socializzazione nell’economia e la costituzione
della Confederazione Unica nell’ambito sindacale inserivano la RST tra
gli Stati più avanzati nell’adempimento della Civiltà del
Lavoro. Si deve in conclusione asserire che quel ministro operaio di Cremona
seppe svolgere nella Repubblica Sociale l’attuazione d’un diagramma di
progresso civile.
ITALICUM marzo-aprile 2005 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)